UNA
DOMANDA, di Giorgio Agamben
Vorrei
condividere con chi ne ha voglia una domanda su cui ormai da più di un mese non
cesso di riflettere. Com’è potuto avvenire che un intero paese sia senza
accorgersene eticamente e politicamente crollato di fronte a una malattia? Le
parole che ho usato per formulare questa domanda sono state una per una
attentamente valutate. La misura dell’abdicazione ai propri principi etici e
politici è, infatti, molto semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite
oltre il quale non si è disposti a rinunciarvi. Credo che il lettore che si
darà la pena di considerare i punti che seguono non potrà non convenire che –
senza accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa
l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata.
1)
Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come
abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile
precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non
soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella
storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un
funerale?
2)
Abbiamo poi accettato senza farci troppi problemi, soltanto in nome di un
rischio che non era possibile precisare, di limitare in misura che non era mai
avvenuta prima nella storia del paese, nemmeno durante le due guerre mondiali
(il coprifuoco durante la guerra era limitato a certe ore) la nostra libertà di
movimento. Abbiamo conseguentemente accettato, soltanto in nome di un rischio
che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i nostri rapporti di
amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato una possibile
fonte di contagio.
3)
Questo è potuto avvenire – e qui si tocca la radice del fenomeno – perché
abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre
inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente
biologica da una parte e in una vita affettiva e culturale dall’altra. Ivan
Illich ha mostrato, e David Cayley l’ha qui ricordato di recente, le
responsabilità della medicina moderna in questa scissione, che viene data per
scontata e che è invece la più grande delle astrazioni. So bene che questa
astrazione è stata realizzata dalla scienza moderna attraverso i dispositivi di
rianimazione, che possono mantenere un corpo in uno stato di pura vita
vegetativa.
Ma
se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che
le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una sorta di
principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è
via di uscita.
So
che qualcuno si affretterà a rispondere che si tratta di una condizione
limitata del tempo, passata la quale tutto ritornerà come prima. È davvero
singolare che lo si possa ripetere se non in mala fede, dal momento che le
stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che
quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse
direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un
significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della
società. E, in ogni caso, ciò che, in buona o mala fede, si è accettato di
subire non potrà essere cancellato.
Non
posso, a questo punto, poiché ho accusato le responsabilità di ciascuno di noi,
non menzionare le ancora più gravi responsabilità di coloro che avrebbero avuto
il compito di vegliare sulla dignità dell’uomo. Innanzitutto la Chiesa, che,
facendosi ancella della scienza, che è ormai diventata la vera religione del
nostro tempo, ha radicalmente rinnegato i suoi principi più essenziali. La
Chiesa, sotto un Papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco
abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere della misericordia è
quella di visitare gli ammalati. Ha dimenticato che i martiri insegnano che si
deve essere disposti a sacrificare la vita piuttosto che la fede e che rinunciare
al proprio prossimo significa rinunciare alla fede. Un’altra categoria che è
venuta meno ai propri compiti è quella dei giuristi. Siamo da tempo abituati
all’uso sconsiderato dei decreti di urgenza attraverso i quali di fatto il
potere esecutivo si sostituisce a quello legislativo, abolendo quel principio
della separazione dei poteri che definisce la democrazia. Ma in questo caso
ogni limite è stato superato, e si ha l’impressione che le parole del primo
ministro e del capo della protezione civile abbiano, come si diceva per quelle
del Führer, immediatamente valore di legge. E non si vede come, esaurito il
limite di validità temporale dei decreti di urgenza, le limitazioni della
libertà potranno essere, come si annuncia, mantenute. Con quali dispositivi
giuridici? Con uno stato di eccezione permanente? È compito dei giuristi
verificare che le regole della costituzione siano rispettate, ma i giuristi
tacciono. Quare silete iuristae in munere vestro?
So
che ci sarà immancabilmente qualcuno che risponderà che il pur grave sacrificio
è stato fatto in nome di principi morali. A costoro vorrei ricordare che
Eichmann, apparentemente in buon fede, non si stancava di ripetere che aveva
fatto quello che aveva fatto secondo coscienza, per obbedire a quelli che
riteneva essere i precetti della morale kantiana. Una norma, che affermi che si
deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e
contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare
alla libertà.
Giorgio
Agamben - 13 aprile 2020
LA
MIA RISPOSTA
L’Italia
attraversa un momento drammatico, tragico per molte famiglie. E’ un paese
prostrato, che si interroga con preoccupazione sul futuro. Ma non è affatto
vero che sia “crollata eticamente e politicamente”, come scrive Agamben. L’Italia si fa coraggio, fa appello alla
sua forza morale, e resiste. L’Italia non ha affatto “abdicato al propri
principi”, bensì è impegnata nella difesa del bene primario dei suoi
concittadini: il diritto alla salute e alla vita.
“Qual
è il limite?” chiede con enfasi Agamben. La risposta è semplice: la fine della
pandemia, che non è un problema politico
né giuridico, ma sanitario, come capiscono perfettamente tutte le persone
normalmente intelligenti. “Abbiamo superato la soglia della barbarie” è una
frase retorica, largamente esagerata, altisonante e vuota, mirata ad esaltare
le menti deboli.
Procediamo
con ordine.
1) “In
nome di un rischio che non era possibile precisare”, abbiamo dovuto rinunciare
ai funerali delle persone care, sostiene Agamben. No, il rischio è stato
precisato benissimo, ed è chiaro a tutti tranne che al filosofo: è il rischio
di morire, cioè di fare la stessa fine delle persone per le quali non è stato
neppure possibile celebrare i funerali. E’ il
rischio di essere contagiati da un virus letale, come tutti sanno. “Non era
mai avvenuto prima nella storia, da Antigone ad oggi…” è un’altra frase
retorica, grossolanamente falsa. E’ accaduto sempre, in quasi tutte le guerre e
le epidemie del passato. Ancora di recente, è accaduto ad almeno sei milioni di
persone (ma anche a molti altri) nel corso della Seconda guerra mondiale.
Citare Antigone è chic, ma l’affermazione resta infondata e ridicola, tale da
squalificare completamente il suo autore, privandolo di qualsiasi autorevolezza
e credibilità.
2)
“In nome di un rischio che non era
possibile precisare” (ancora?) è stata limitata la libertà di circolazione
delle persone. Anche in questo caso, la risposta è elementare: c’è un virus
mortale in circolazione, dunque se vogliamo evitare il rischio di un contagio mortale,
per noi e per gli altri, dobbiamo circolare quanto meno è possibile. L’hanno
capito tutti, potrebbe arrivarci anche un insigne filosofo e cattedratico.
“Soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare” (e tre!)
abbiamo accettato di sospendere i rapporti di amicizia e amore. Veramente, le
cose non stanno proprio così: l’amicizia e l’amore continuano, ma nelle sole
forme possibili, cioè a distanza. Io coltivo in questi giorni intensi rapporti
di amicizia fraterna con molte persone, vedo tutti i giorni le mie figlie in
videochiamata (esattamente come quando studiavano in università all’estero) e
parlo più volte al giorno con la donna che amo e che vive in un’altra città. E
allora? Quando sarà finito il rischio di contagio, tornerò ad abbracciare le
mie figlie, a cenare con gli amici e a fare l’amore con la donna che amo, alla
faccia degli intellettuali rinomati e dei loro adoranti seguaci ideologici.
Abbiamo accettato tutto questo “soltanto perché il nostro prossimo era una
possibile fonte di contagio”, scrive Agamben. Come sarebbe, “soltanto”? Appunto
per questo, semmai: per evitare un rischio potenzialmente mortale. Perché siamo esseri umani, intelligenti e
razionali.
3)
Alla radice del fenomeno, sostiene
Agamben, vi sarebbe la scissione fra corpo e spirito, un’astrazione di cui
sarebbero responsabili la scienza e la medicina moderna. (Ma cos’hanno, questi intellettuali italiani, contro la modernità?
Nei giorni scorsi è morto Luciano Pellicani, uno dei pochi che, contro il
pregiudizio antiscientifico nella nostra cultura, ha sempre tenuto il punto.
Grazie, Pellicani! Ti sia lieve la terra). Questa separazione si sarebbe ora
estesa fino a diventare “un principio di comportamento sociale”. Ma quando mai?
Senza entrare troppo nel merito della questione, e pur riconoscendo che da
sempre la scienza pone l’uomo davanti a interrogativi morali, resta il fatto oggettivo
che le regole che limitano la nostra libertà in questi giorni, non sono “principi”
politici né morali, né giuridici: sono misure di carattere medico e sanitario. Voler conferire loro un significato
simbolico, o metaforico, o metafisico, questo sì, costituisce un’astrazione,
evidentissima per chiunque legga le parole di Agamben con spirito critico,
senza sudditanza psicologica e timori reverenziali.
Non
esiste nessuna “contraddizione”, fra il volersi bene e il non volersi contagiare.
E’ vero esattamente il contrario: volersi bene, e ammalarsi fino a morirne,
questa sì è una “contraddizione senza via di uscita” di cui Agamben resta
prigioniero, come vedremo meglio fra poco.
La
Chiesa sarebbe diventata “ancella della scienza” – scienza, ancora questa cosa
brutta e cattiva - che sarebbe ormai la “nuova religione del nostro tempo”.
Perciò Francesco (il Papa) avrebbe dimenticato che Francesco (il santo)
“abbracciava i lebbrosi”. Di nuovo, non entro nel merito di una disquisizione
religiosa o teologica: non mi interessa. Mi limito sommessamente a osservare
che, dai tempi del poverello d’Assisi a oggi, sono cambiate molte cose. O no? La scienza, la biologia, ci hanno fatto
fare qualche progresso, nel campo delle conoscenze medico-sanitarie, o no? “I
martiri ci insegnano che si deve essere disposti a sacrificare la vita,
piuttosto che le fede”. Ah, ecco, finalmente un’intuizione filosofica! O
piuttosto “anti” filosofica, mi verrebbe da dire. Perché volersi bene e stare
per un po’ lontani, per prudenza, non è contraddittorio; sacrificare stoltamente
la vita, invece, quella sì è una contraddizione, anche se Agamben non se ne
avvede.
I
medici, gli infermieri, gli addetti negli ospedali rischiano molto (137 medici
morti, a oggi) ma cercano di proteggersi, saggiamente. Lasciare loro, protetti,
accanto ai malati, invece dei parenti affettuosi (che rischierebbero di
ammalarsi a loro volta) è una grande dimostrazione di saggezza e prudenza –
anche a costo di suscitare le ire del Grande Filosofo.
Mantenersi a prudente
distanza dal contagio di un virus, non significa affatto, per un laico,
abdicare alla propria libertà; né tantomeno, per un credente, rinunciare alla
propria fede. Chi lo pensa, lui sì, è in evidente
malafede.
Agamben
chiama in causa anche i giuristi. Per la verità, gli uomini di diritto sono
divisi in questa vicenda (come gli scienziati, del resto). Alcuni sostengono la
necessità e legittimità delle misure adottate, altri sono fortemente contrari.
Ma fra loro ve ne è uno, che può essere considerato un punto di riferimento
affidabile: fortunatamente, è il capo dello Stato. Sergio Mattarella rappresenta bene – assai più del neofita che è a capo
del governo– la forza morale dell’Italia di oggi: egli è un uomo forte e mite, costituzionalista di
primissimo ordine. Io ho fiducia in lui, nel suo ruolo di garante della vita
istituzionale, meritevole della simpatia e stima di moltissimi italiani
ragionevoli.
Nel contesto attuale, l’accostamento fra la decretazione di urgenza - di cui
peraltro in Italia si è sempre abusato – e il nazismo, non merita commento
alcuno. I riferimenti a Hitler e
Eichmann, più che colpire i destinatari, squalificano il mittente. Sono
chiacchiere da bar tabacchi, parole non degne di un rinomato filosofo e docente
universitario.
Per
concludere: no, i sacrifici che stiamo
affrontando non sono compiuti “in nome
di principi morali”, ma di provvedimenti sanitari, per fronteggiare e
debellare una grave epidemia. Rinunciamo, ancorché parzialmente, alla nostra
libertà, per un elementare criterio di prudenza e per scongiurare un danno più
grave. La logica della “riduzione del danno” è una delle massime manifestazioni
dell’intelligenza umana. Passato questo brutto periodo, torneremo a vivere
liberi, alla ricerca della felicità.
Anche
la frase finale della lettera di Agamben è da dimenticare, come tutto il resto:
una sentenza filosoficamente risibile. Se
si perde la libertà, ma si salva la vita, si può sperare di ritornare liberi un
giorno; mentre se si perde la vita, nessuna libertà potrà mai rivivere. E’
una considerazione scontata, evidente a chiunque, eppure necessaria, per
dimostrare l’inconsistenza e fallacia del pensiero di un cattivo maestro.
Concordo pienamente con Alessandro. Emanuela
RispondiEliminaHo l'impressione che nei due discorsi apparentemente diversi ed irriconciliabili vi siano profonde verità reali, ognuna vista dal proprio osservatorio esistenziale; verità da non sottovalutare ma che tendiamo a mettere in sordina data l'ansia di fondo che ci occupa e ci rende tutti in vario modo più irascibili impulsivi e spicci. Agamben ci mostra il re nella sua improvvisa evidente cruda nudità e Modignani difende il diritto concreto alla sopravvivenza personale e collettiva, due visioni complementari ed etiche della realtà solo apparentemente distanti ed opposte (Matteo, Milano, ex docente 76enne)
RispondiEliminaDetto sinceramente e anche da radicale: lascia perdere. Da una parte pensiero (Agamben) dall'altra attacco quasi ad personam.
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