“Il primo secolo delle conquiste arabo-islamiche, estremamente celeri
ed eccezionalmente vaste, corrispose a uno spartiacque nella storia
dell’umanità; un evento unico, che mutò radicalmente le sorti del mondo”. Muove
da questa basilare considerazione l’interessante saggio storico-religioso che
Vittorio Robiati Bendaud dedica ai tormentati rapporti fra Islam e popolo
ebraico.
La vita degli ebrei nei domini islamici è caratterizzata soprattutto
dall’istituto giuridico-teologico della Dhimma, l’ambiguo “patto di protezione”
che costringeva gli ebrei a versare un tributo con umiliazione, in una
condizione sospesa “fra riconoscimento e svilimento, tra accettazione e sottomissione,
tra discriminazione e persecuzione”.
L’espansione islamica rivela fra l’altro un particolare paradosso: la civiltà
“giudaico-cristiana”, come oggi la intendiamo, è di nascita relativamente
recente, preceduta da un lunghissimo periodo di persecuzioni; viceversa, la
convivenza dell’ebraismo in seno all’Islam dura assai più a lungo e in
profondità – e si conclude solo alla metà del Novecento.
Quando l’Islam muove alla conquista della Spagna, ad esempio, i
cripto-ebrei sopravvissuti accolgono gli arabi come liberatori. Dopo la breve
parentesi del califfato di Cordova, aperto e tollerante, seguiranno un po’
ovunque atroci persecuzioni, a testimoniare che il cosiddetto “periodo
andaluso” non fu affatto così buono, come idealizzato da una certa storiografia.
Secoli più tardi, con la conquista di Costantinopoli, l’impero
ottomano diviene la più grande potenza mondiale, e di nuovo gli ebrei
collaborano alla sconfitta dei cristiani, loro storici persecutori. Gli
ottomani accolgono favorevolmente l’immigrazione ebraica cacciata da Spagna e
Portogallo; i sefarditi trovano accoglienza a Salonicco, a Rodi, nella stessa
Costantinopoli e un po’ ovunque. Dopo il 1517, molti tornano a Gerusalemme e in
“Eretz Israel”. Gli ebrei vengono così a costituire un “Millet”, una comunità
autonoma in seno all’impero, come gli armeni e i greci, con i quali spesso si
troveranno a condividere la sorte.
Nella seconda parte del saggio, l’autore tratta delle successive,
sistematiche persecuzioni e massacri che gli ebrei patiscono in terra
musulmana, fino al 1917 – esattamente quattro secoli dopo - quando gli inglesi liberano
Gerusalemme dagli ottomani e si impegnano nella dichiarazione Balfour. Tutto
ciò che per gli ebrei costituisce una speranza di liberazione - gli Stati nazionali,
la modernità, il diritto, la laicità, le libertà individuali - per gli arabi è
tradimento e complicità con il colonialismo: l’Islam è teocratico e dunque non
secolarizzabile. Con la nascita di Israele, scompaiono tutte le comunità
arabo-giudaiche e, con esse, l’intero ebraismo orientale.
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