lunedì 8 maggio 2017

"Il giardino dei cosacchi", di Jan Brokken

Del barone russo Alexander von Wrangel, Jan Brokken aveva già anticipato qualcosa nel suo bellissimo Anime baltiche, di pochi anni fa. In questo Il Giardino dei cosacchi ne fa un testimone d’eccezione, l’io narrante di un romanzo tutto incentrato sulla vita aspra e drammatica di Fedor Dostoevskij. Di origini tedesco-baltiche - “Ma io non ho mai desiderato altro che essere russo” - Wrangel aveva assistito da giovanissimo alla messinscena della fucilazione, sospesa solo in extremis, di un gruppo di intellettuali, fra cui lo stesso Dostoevskij, giudicati pericolosi cospiratori, la cui pena era poi stata commutata nei lavori forzati al confino.

Alcuni anni dopo, poco più che ventenne, il barone entra a far parte dell’amministrazione giudiziaria zarista e viene destinato a una sperduta cittadina della Siberia centrale, ai confini con Cina e Kazakistan. Qui Wrangel ritrova Dostoevskij, che ha scontato gli anni peggiori in un “katorga” siberiano – i campi di lavoro penale che nel ‘17 saranno ribattezzati “gulag” – ed è poi stato esiliato in quella stessa località. Fra i due nasce un’intima amicizia. (...)

Sulla natura di questa amicizia non è lecito coltivare equivoci, avverte Brokken in una nota. “E’ imbarazzante che Sigmund Freud, nella sua analisi di Dostoevskij, si basi in pratica esclusivamente sui ricordi della figlia. Il fatto che Dostoevskij accettasse che Marija, sia prima che dopo il loro matrimonio, avesse una relazione con il maestro di scuola, era secondo Freud indicazione di latente omosessualità”. (...)

A questo link, la mia recensione completa del romanzo, pubblicata su Il Foglio di sabato 6 maggio.
http://www.ilfoglio.it/libri/2017/05/08/news/il-giardino-dei-cosacchi-133343/

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