Parliamo adesso di decreti legge. Questo istituto viene radicalmente
modificato dalla riforma costituzionale su cui voteremo il 4 dicembre. (Viene
introdotto anche il “disegno di legge governativo a data certa”, di cui
scriverò la prossima volta).
Oggi i decreti legge sono emanati dal governo ed entrano
immediatamente in vigore. Il Parlamento può convertirli in legge, con o senza modifiche,
entro 60 giorni. Altrimenti decadono. La Costituzione dice solo che il governo
può ricorrervi “in caso di straordinaria necessità e urgenza”, senza specificare.
Una legge dell’88 aveva cercato di definire meglio questi criteri, ma
trattandosi di una legge ordinaria,
è rimasta lettera morta. I governi (tutti, di qualsiasi colore) hanno sempre largamente
abusato del ricorso al decreto legge, per governare speditamente. E i partiti
di opposizione (tutti, di qualsiasi colore) hanno sempre vibratamente
protestato. Salvo fare il contrario, una volta al governo. Nella legislatura in
corso, i decreti convertiti in legge sono stati il 30,5% delle leggi approvate;
nella precedente legislatura, il 27%. Chiaro?
Veniamo al dunque. Ora i sostenitori del No, assai smemorati, parlano poco
di questo argomento, perché non torna utile alla loro campagna demagogica.
La riforma costituzionale, infatti, mette un argine al ricorso ai
decreti legge governativi, poiché i criteri limitativi (già indicati dalla legge
ordinaria) vengono ora INSERITI NELLA
COSTITUZIONE. In questo modo, la Corte costituzionale quando valuterà i
ricorsi, potrà dichiarare inammissibile la legge per mancanza di requisiti. Oggi
non può farlo, domani sì.
Dunque questa riforma limita gli abusi del governo e aumenta le
garanzie costituzionali. Chiaro?
Inoltre, i decreti legge sono spesso provvedimenti “omnibus”, trenini
a cui il parlamento non esita ad aggiungere qualche “vagone”, lungo il percorso
di approvazione. Invece la riforma, recependo una sentenza del 2012, inserisce in Costituzione anche il criterio
di omogeneità del testo.
Infine, nel caso in cui il Presidente della Repubblica decida di
rinviare il decreto alla Camera, i termini si allungano da 60 a 90 giorni, per
dare modo al Parlamento di recepire le obiezioni del Capo dello Stato. Un’ulteriore garanzia di equilibrio
costituzionale fra governo, parlamento e Presidente della Repubblica.
Giorgio Napolitano ha raccontato, nei giorni scorsi, di avere passato
nove anni al Quirinale a ricevere le delegazioni delle opposizioni, indignate contro
l’abuso dei decreti legge governativi. Per questo, ha spiegato, voterà Sì:
proprio per consentire al parlamento di legiferare in modo più degno e
responsabile.
“NAPOLITANO HA DETTO CHE IL PARLAMENTO E’ INDEGNO…!!!”, ha subito
starnazzato in Senato il leghista Calderoli, famigerato autore del Porcellum.
Ma si può essere più scemi di così?
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